Categoria: Emilia Romagna

Rosania e la camera segreta del castello di Gropparello

La leggenda di Rosania e della camera segreta Del castello di Gropparello.

Quella che vi narro oggi è la leggenda di Rosania, Moglie di Pietrone Da Cagnano e della sua sorte.

Siamo nella seconda metà del Duecento, Pietrone da Cagnano, signore del castello dovette partire per una guerra lasciando la moglie, Rosania, sola al castello.

Senza il suo signore, il castello era facile preda e così fu.

Lancillotto Anguissola, Capitano di Ventura fedele al Marchese Pallavicino ne prese possesso e vi si stabilì.

Lancillotto era anche una vecchia fiamma della bellissima moglie di Pietrone e, questa, se ne invaghì nuovamente.

I due vissero al castello felici come in un sogno, sogno che però era destinato a finire di lì a poco.

Lancillotto dovette partire nuovamente in battaglia lasciando castello e amante.

Pietrone, di ritorno dalla guerra, scoprì ciò che era accaduto e meditò vendetta, per l’onta subita.

Roso dalla gelosia fece costruire una stanza segreta nei sotterranei del castello, una stanza nascosta da massi e pietre.

In occasione di un banchetto narcotizzò Rosania e la fece rinchiudere viva nella stanza segreta, celandone l’ubicazione.

Della bella Rosania e della stanza non se ne seppe mai più nulla ma, ancora oggi, nelle notti di forte vento si sente una voce al castello invocare aiuto.

 

 

L’assedio – Una leggenda Bardigiana

L’assedio – Dal testo LEGGENDE BARDIGIANE (a cura di Giuseppe Conti)

Dal Mastio, Goffredo il castellano della Rocca di Bardi, osservava in silenzio i fuochi degli assedianti che, ormai da 16 mesi, stringevano in una morsa spietata i difensori.
In quel lungo periodo ogni attacco, sferrato giornalmente, era stato respinto ed i morti non si contavano più ne da una parte ne dall’altra.
Le possenti mura della fortezza nonostante le catapulte, gli arieti, gli assalti con le torri in legno resistevano saldamente; era il morale dei difensori che aveva ormai ceduto in quelle ultime settimane. I pensieri correvano al secondo durissimo inverno che avrebbe, fra non molto, riportato il freddo e la neve, con le scorte di viveri quasi finite.
Erano gli sguardi silenziosi dei suoi soldati, era il volto pallido dei bambini e delle donne che rattristavano Goffredo. La paura era una sensazione invisibile aleggiante sui difensori; non timore per la propria fine, ma per la strage che avrebbe coinvolto anche le loro famiglie in caso di resa.
Il castellano scese le ripide scale in pietra del Mastio e, accompagnato dalle sentinelle, percorse i camminamenti di ronda. I fuochi del nemico illuminavano tenuemente le centinaia di tende dove riposavano altri militi nell’attesa di un’altra alba di battaglia.
Vi era solo un motivo di consolazione per Goffredo; con il passare dei mesi aveva visto scomparire anche sul volto degli invasori quell’aria baldanzosa e sicura che li aveva contraddistinti nei primi mesi di lotta.
Il nemico, giunto nei pressi di Bardi, aveva saccheggiato il paese distrutto i campi di grano tutt’intorno, trovando pochissimi viveri già da tempo trasportati nei granai, nei magazzini e nella ghiacciaia della rocca. Per la scarsità di cibo continui rifornimenti arrivavano al nemico dalla città lontana, con gravi problemi di trasporto.
Goffredo, prima di ritirarsi nel suo alloggio, fece un’ultima visita ai granai, dove rimanevano 3 sacchi di grano e alla stalla dove era ricoverata un’ultima vacca. “E’ la fine” pensò, mentre un’angoscia terribile, lo fece rabbrividire, non rimaneva che un ultimo tentativo, una assurda idea che già da diversi giorni lo stava tormentando, ma a questo punto non rimaneva altro da fare.
Alcuni soldati corsero a svegliare tutti gli ufficiali e sotto ufficiali convocandoli nel corpo di guardia della torre di Sud-Ovest dove Goffredo li stava aspettando per esporre il suo piano.

L’alba della Domenica giunse carica di ansie, le trombe avvisarono i difensori dell’imminente assalto. Gran parte delle forze nemiche erano concentrate sotto gli spalti di Nord-Est dove si sperava di aprire più facilmente una breccia con l’aiuto di catapulte.
I fanti erano già schierati aspettando l’ordine di attacco, quando dagli spalti si affacciò il castellano riccamente vestito con un abito nero da cerimonia. Egli, senza curarsi degli arceri che potevano colpirlo in ogni istante si issò sulle mura urlando verso il nemico queste parole:
“Vi Vedo pallidi e stanchi soldati! Come ogni giorno di festa noi banchettiamo, ed oggi abbiamo deciso di dividere con voi le nostre pietanze”.
Goffredo alzò la mano destra, ed a quel segnale convenuto i suoi militi gettarono oltre le mura la vacca squartata e pronta allo spiedo.
La carcassa dell’animale cadde con un tonfo sordo ai piedi dei soldati sbigottiti, dal ventre dell’animale uscì una cascatella di chicchi di grano.
Tra le file degli assedianti vi fu un fremito di stupore nell’osservare quella carne, da tempo mancante dalle loro mense, e cosi facilmente gettata dal popolo bardigiano. L’animale fu portato verso le tende degli ufficiali superiori, nelle retrovie, mentre rauche grida, lanciate dai cavalieri, ordinavano alle truppe di ritirarsi verso l’accampamento.
Fu una Domenica tristissima per i bardigiani assediati nella Rocca.
Goffredo rimase chiuso nei suoi alloggi; se il piano fosse fallito le colpe sarebbero cadute su di Lui.
Nella notte, dall’accampamento nemico, giunsero molte voci e si intravide tra i falò accesi un grande via vai di soldati indaffarati.
All’alba le assonnate sentinelle osservarono, prima incredule e poi con grande gioia, la lunga fila delle truppe nemiche che, convinte dell’impossibilità di conquistare la Rocca di Bardi, si ritirarono sconfitti verso la pianura.